“RIDERS ON THE STORM” DEI DOORS: LA VOCE DI JIM MORRISON
L’ultima traccia
vocale lasciata in eredità da Jim Morrison è quella di “Riders On The Storm”,
brano che conclude il sesto album dei Doors: “L.A. Woman” (registrato tra la
fine del 1970 e l’inizio del ’71).
Il frontman,
infatti, lascerà Los Angeles per Parigi poco prima dell’uscita dell’LP e morirà
tragicamente all’inizio del luglio ’71 proprio nella capitale francese.
Le diverse sfaccettature
musicali di “Riders On The Storm” (poco più di sette minuti di durata) sono
state passate in rassegna su questo blog attraverso quattro approfonditi articoli:
il ruolo della chitarra di Robby Krieger (qui il link); il pianoforte
elettrico di Ray Manzarek e il suo assolo (qui il link); il basso
elettrico e la batteria (qui il link); l’effetto di studio che immerge
l’arrangiamento in un temporale (qui il link).
Analizzeremo in
questo articolo l’ultimo elemento sonoro rimasto da esplorare: la voce solista di
Jim Morrison insieme alle parole che essa veicola con oscura intensità.
La linea vocale
che possiamo udire in questa composizione si rafforza di pari passo al
susseguirsi delle tre stanze (strofa-bridge-ritornello) che ne segnano il
percorso.
Tuttavia, nel
delineare questa progressione il cantante mantiene sempre il proprio canto
entro i confini di un’energia misurata e di una intonazione sentitamente solenne.
In questo modo, egli
narra le profonde considerazioni contenute nei versi come una voce fuori campo invece
di mostrare un coinvolgimento emotivo vissuto in prima persona.
La poetica di
Morrison è qui cantata con la cadenza ad un tempo rassegnata ed irrequieta di
una litania rock, la quale fluttua imperturbabile su accenti ritmici di
amareggiata consapevolezza.
Il timbro della
parte vocale si colora di tinte scure, a tratti cosparse di ombre enigmatiche, in
accordo con l’atmosfera di inquieto mistero evocata dal dialogo tra gli strumenti.
I contorni della
voce di Morrison sono inoltre lievemente sfumati da un tenue riverbero, il
quale è ottenuto in studio di registrazione cantando all’interno di una stanza appositamente
dedicata a questo scopo.
Una seconda linea
vocale viene poi incisa all’inizio del 1971, in quello che sarà l’ultimo atto
musicale del frontman dei Doors. Essa consiste in un sussurro etereo che si sovrappone esattamente al canto
originale, come se il fantasma di Morrison lo avesse raggiunto per terminare
insieme a lui l’ultima canzone prima di accompagnarlo verso la tomba.
L’effetto
complessivo dato dalla somma delle due tracce vocali si risolve in una
suggestiva sensazione di sottile turbamento che rende le parole del brano simili
ad un messaggio segreto proveniente da una dimensione ultraterrena.
Nei versi che
Morrison declama, vengono descritte alcune interessanti riflessioni filosofiche
ed esistenziali, le quali si inscrivono perfettamente nel cupo dinamismo della
musica che le accompagna.
I pensieri del
cantante spingono l’ascoltatore a considerare aspetti della realtà inconsueti o
addirittura inquietanti che, proprio per questo, sono spesso accantonati nella
quotidianità.
Il tema
principale espresso dal testo è ribadito sia nella prima che nella quarta sequenza
di strofa-bridge-ritornello (dal min. 0.45 al min. 1.10 e dal min. 5.02 al min.
5.27 rispettivamente).
Qui è una
concezione fatalista a farsi strada tra i versi, i quali esprimono
l’insoddisfazione e la natura provvisoria che caratterizzano l’esistenza umana
(“Siamo scagliati in questo mondo / Come un cane senza osso / Come un attore
in prestito”).
Queste efficaci
metafore dipingono la vita come una corrente, simboleggiata dal titolo della
canzone stessa, che trasporta l’essere umano lungo una serie di frustrazioni,
contrarietà e pericoli.
A ribadire il
concetto di incertezza e di rischio insito nelle vicende personali di ognuno di
noi è la seconda successione di strofa-bridge-ritornello (dal min. 1.13 al min.
1.39).
La concisa e
angosciante storia di una famiglia che sta per dare un passaggio in auto ad un
serial killer è qui vividamente raffigurata per mezzo di alcuni particolari sinistri:
”Il suo cervello si sta dimenando come un rospo” e “Se darete un passaggio a
quest’uomo / La dolce famiglia morirà”.
A questo fosco
scenario si aggiunge però una speranza, suggerita dalla terza sequenza di
strofa-bridge-ritornello (dal min. 2.14 al min. 2.40).
In essa si affida
ad una figura femminile il duplice ruolo di illuminare la coscienza dell’uomo
attraverso un paziente amore e di consentire il superamento delle limitazioni imposte
dalla brevità della vita: “Ragazza, devi amare il tuo uomo / Prendilo per
mano / fagli capire / Il mondo dipende da te / La nostra vita non finirà mai”.
La coda della
composizione (dal min. 5.30 fino al termine del brano) è attraversata dalla
voce di Morrison che ripete per quattro volte il titolo del pezzo: “Riders
On The Storm”.
Queste ultime
parole sfumano nell’esaurirsi dell’arrangiamento come una mesta ed evanescente profezia:
rincorriamo mete che si rivelano sistematicamente effimere, esposti a
incessanti minacce, costretti a continui azzardi, tutti noi siamo “Cavalieri
nella tempesta”.
Morrison
costruisce per “Riders On The Storm” una sagace architettura poetico-musicale. Egli
accosta penna e voce in un emozionante equilibrio tra il senso di opprimente
precarietà implicato dal testo e la malinconica austerità che trapela dal canto.
Il musicista ci regala così l’ennesima grande prova vocale, completata egregiamente da versi tra i più elevati concettualmente nell’intera discografia dei Doors.
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