“RIDERS ON THE STORM” DEI DOORS: IL DIALOGO BASSO–BATTERIA

 


Il celebre brano dei Doors “Riders On The Storm”, pubblicato sull’LP “L.A. Woman” nell’aprile 1971, scivola tra le fosche ed ipnotiche spire di una affascinante sezione ritmica.

Essa è composta dalla batteria di John Densmore e dal basso elettrico del sessionman Jerry Scheff, ingaggiato appositamente per le registrazioni del disco.

Il ruolo dei due musicisti caratterizza fortemente questa composizione di circa sette minuti di durata: i loro strumenti si compenetrano reciprocamente, in una stretta ed efficace collaborazione sonora.

Il dialogo musicale tra essi instaurato si muove con costante circospezione, tessendo un percorso ritmico dominato da colori cupi e da una cadenza uniforme.

Ciò conferisce alla canzone un’atmosfera di oscura tensione, la quale si esprime in modo particolarmente vivido attraverso le irrequiete note del basso e il misurato ribollire dei tamburi.

Come emerge da una intervista a Ray Manzarek, è proprio il tastierista della band ad escogitare la reiterata e ingegnosa linea di basso che attraversa con seria ostinazione questo pezzo.

Egli la elabora grazie alla dimestichezza sviluppata sul Fender Rohdes Piano Bass, una piccola tastiera che emulava le frequenze del basso elettrico e che veniva da lui suonata (prevalentemente nei concerti) con la mano sinistra mentre la destra era sull’organo elettrico.

Una volta definita l’articolazione delle otto note che formano la parte principale del basso, essa viene affidata a Jerry Scheff. Il bassista ne traduce l’incedere insistente in un fraseggio serrato, inquieto e reiterato.

Nel mixaggio finale, l’evocativo sottofondo creato dalla linea di basso viene percepito come l’indistinto approssimarsi di un pericolo imminente, più che essere udibile in maniera netta.

Questa sensazione espressa in musica costituisce una delle caratteristiche più notevoli di “Riders On The Storm”, permeandone la struttura con una impalpabile aura di profondo mistero.

La batteria fonda il suo andamento su due moti paralleli. Il primo è delineato dal piatto ride, il cui suono viene speziato da alcuni piccoli chiodi fissati sulla sua bronzea superfice.

Si produce così un crepitio lieve e incessante: vibrazioni enigmaticamente scintillanti che si propagano in assonanza con il rumore della pioggia presente nel brano.

Il secondo fattore percussivo è dato dall’uso sincronizzato di grancassa e tamburo rullante come invariato accompagnamento della maggior parte della composizione: un regolare e sussultante commento dai toni gravi alle evoluzioni sonore che si susseguono nella canzone.

Saltuarie modifiche al cammino intrapreso da Densmore si avvertono nel bridge (ad esempio dal min. 1.22 al min. 1.27) e nel ritornello (ad esempio dal min. 1.32 al min. 1.37). Si tratta però di episodi fuggevoli che, per quanto resi pregevoli da espressivi interventi giocati su tom tom e floor-tom, lasciano immediatamente spazio all’incedere prevalente.

A completare l’intreccio ritmico tra basso elettrico e batteria sono i bongos, sprofondati nell’arrangiamento complessivo tanto da essere quasi impercettibili.

I rotondeggianti e ovattati guizzi generati da questa percussione di origine afro-cubana sono sovraincisi da Densmore e affiorano con maggiore chiarezza nell’ultima parte del brano (dal min. 4.51 al min. 6.20).

Il ruolo dei bongos è meramente decorativo nell’ambito di questa traccia; tuttavia, essi punteggiano e arricchiscono il pattern ritmico della batteria con una sfumatura discreta, vagamente esotica e per nulla stonata.

La conversazione tra basso elettrico e batteria, appena descritta, ammanta “Riders On The Storm” della sua distintiva atmosfera scura ed ombrosa.

Inoltre, la natura cupamente suggestiva di questo dialogo creativo è ulteriormente rafforzata da altri tre elementi: il testo della canzone, il canto di Jim Morrison e il campionamento del temporale.

Quella costruita da Densmore e Scheff è una ambientazione ritmica che proietta questa composizione verso nuovi, interessanti, scenari musicali, rimasti purtroppo inesplorati dalla band a causa della prematura morte di Morrison (che avverrà circa sei mesi dopo l’incisione di questo pezzo).


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Sempre su "Riders On The Storm" sono consultabili su questo blog:

"Riders On The Sotrm" dei Doors: un viaggio nell'assolo di Ray Manzarek

"Riders On The Storm" dei Doors: l'uso della pioggia

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