I DOORS AL WINTERLAND BALLROOM: ANALISI DEL BOOTLEG (TERZA SERATA)


Le tre serate per le quali i Doors vengono ingaggiati al Winterland Ballroom di San Francisco (26, 27 e 28 dicembre 1967) rappresentano la degna conclusione di un anno contrassegnato da mirabili progressi artistici e riscontri commerciali positivi.

L’originale formula musicale, composta da rock, poesia e teatro, che la band aveva definito lungo il ’67, si era infatti tradotta in un consistente consenso da parte del pubblico americano.

I contenuti controversi di alcuni testi, unitamente alle ardite sperimentazioni sonore, avevano inoltre innalzato il gruppo a riferimento culturale e simbolico per la gioventù americana più anticonformista e ribelle.

San Francisco accoglie dunque la band nella estatica celebrazione di un anno che si rivelerà, complessivamente, il migliore nella carriera dei Doors.

Il bootleg di questi concerti comprende solamente la prima serata (il 26 dicembre; qui il link all’articolo che ne traccia il contesto ed una approfondita analisi) e la terza (il 28 dicembre).

La seconda performance (27 dicembre) non è stata purtroppo registrata; sarà dunque sul terzo show che punteremo la nostra attenzione in questo articolo.

Il nastro del 28 dicembre (qui il link) include solamente ventidue minuti di audio, lasciando quindi pensare che non comprenda tutto il live messo in scena in questa occasione.

Tuttavia, esso ci consente di ascoltare sei brani di alta qualità, espressi attraverso l’attraente prisma creativo che i Doors orientarono con intraprendenza verso la storia della musica.

Ad aprire la registrazione è il medley “Alabama Song” – “Back Door Man”, due cover inserite nel primo LP della band (“The Doors”, pubblicato nel gennaio 1967).

Il loro abbinamento (su vinile sono invece presentate come tracce separate) è un elemento frequentemente presente nelle esibizioni dal vivo della formazione californiana e allinea sagacemente il teatro musicale degli anni ’20 di Bertolt Brecht al Chicago Blues di Willie Dixon e Howlin’ Wolf.

La vocalità di Morrison, molto convincente nel suo cupo e abrasivo fascino, corona una prestazione di gruppo in linea con gli elevati standard qualitativi messi brillantemente in mostra dai Doors in questo periodo del loro percorso.

A distinguersi è l’assolo alla chitarra elettrica eseguito da Robby Krieger durante “Back Door Man” (prima che l’audio venga bruscamente interrotto).

Qui il chitarrista libera una energia ed una ispirazione superiori a quelle che possiamo ascoltare su disco, le quali vengono incanalate con esuberanza in direzione di una spontaneità e di una incisività notevoli. Note serrate, acute e graffianti, il cui suono leggermente distorto genera fraseggi dinamici che non perdono mai il contatto con una linea melodica suggestiva e coinvolgente: uno dei migliori assoli mai registrati da Krieger.

Il bootleg riprende alla metà di “You’re Lost Little Girl”, consegnata al pubblico solo tre mesi prima come traccia numero due dell’album “Strange Days”.

Al Winterland Ballroom, questa composizione viene suonata coerentemente con quanto inciso sul vinile appena citato, svanendo però dopo un solo minuto per problemi audio. Essa lascia comunque dietro di sé la prima delle rare testimonianze live di questo pezzo.

A seguire troviamo “Love Me Two Times”, sfortunatamente anch’essa tagliata sul finale. Il brano era stato immesso sul mercato solamente un mese prima di questo concerto come secondo singolo (dopo “People Are Strage”) estratto dall’LP “Strange Days”.

Da segnalare, un fluente assolo di Ray Manzarek all’organo elettrico (nel disco è suonato al clavicembalo), le cui liquide evoluzioni descrivono un andamento avvolgente e luminoso, meno ritmato e urgente rispetto alla versione ufficiale.

Il numero seguente è dato dalla sequenza “Wake Up” – “Light My Fire”, momento cruciale di molti concerti dei Doors fin dalla tarda primavera 1967.

La sezione poetica iniziale, recitata da Morrison con veemenza talvolta suadente talvolta tagliente, si snoda su di un frastagliato sottofondo di musica d’avanguardia.

Esso oscilla imprevedibile tra un arcano minimalismo percussivo, lugubri gemiti elettrici emessi dalla chitarra ed onirici e fragorosi arrembaggi sonori.

Questo sorprendente e meraviglioso crocevia tra teatro sperimentale, rock e poesia, viene improvvisamente spezzato dal secco colpo di tamburo rullante decretato dal batterista John Densmore, come il repentino risveglio da un sogno surreale e vischioso.

Subito dopo, irrompe l’introduzione strumentale di “Light My Fire”, spostando rapidamente l’attenzione su di un orizzonte più spazioso e aprendo la strada a una delle migliori canzoni rock di sempre.

Il brano si sviluppa rispettando sostanzialmente il capolavoro inciso sul disco d’esordio della band (il già ricordato “The Doors”). A fare eccezione sono due versi (“Persian night babe / See the light babe”) estrapolati da un altro grande pezzo dei Doors stessi: “When The Music’s Over” (da “Strange Days”).

Le due esortazioni sono collocate da Morrison in maniera improvvisata tra i due assoli, organo elettrico e chitarra elettrica, che occupano la estesa parte centrale di “Light My Fire”.

Inoltre, il segmento solistico di Krieger si avventura, nella seconda metà del suo cammino, in fantasiose esplorazioni virtuosistiche, le quali conducono l’ascoltatore su sentieri chitarristici non solo affascinanti e incalzanti, ma raramente esplorati dal rock fino a quel momento.

L’ultima composizione che ci è pervenuta è “The Unknown Soldier”, all’epoca un inedito che sarà pubblicato circa tre mesi dopo (nel marzo 1968) come singolo e nel luglio ’68 tra i solchi dell’LP “Waiting For The Sun” (qui il link ad un approfondimento su “The Unknown Soldier”).

Nonostante sia privo del primo minuto, sempre a causa di problemi di registrazione, è possibile notare come il pezzo sia già completo e, conseguentemente, suonato il 28 dicembre ’67 al Winterland Ballroom già nella sua forma definitiva.

Morrison emerge in tutta la sua drammatica potenza canora nel finale: un minuto di caduta libera, progressivamente sempre più intensa, nel vortice festante evocato dagli altri tre musicisti, il quale termina con la significativa frase “The war is over!”.

In seguito ai tre memorabili concerti dei Doors, il Winterland Ballroom di San Francisco continuerà a stupire per i tre giorni rimanenti del 1967 con spettacoli di ragguardevole spessore artistico.

Il 29 e 30 dicembre sarà Chuck Berry a esibirsi come attrazione principale (gruppi spalla i Big Brother And The Holding Company e i Quick Silver Messenger Service) mentre per la serata di Capodanno suoneranno i due gruppi californiani appena menzionati con l’aggiunta dei Jefferson Airplane.


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