“YES, THE RIVER KNOWS” DEI DOORS: AMORE, NATURA E SUICIDIO

 

Malgrado la sua presenza nell’LP di grande successo “Waiting For The Sun” (luglio 1968), il brano “Yes, The River Knows” dei Doors è stato a lungo confinato in una relativa oscurità.

La sua assenza dalle scalette dei concerti e l’atmosfera dai colori tenui, evocatrice delle tinte delicate che osserviamo nei quadri di Monet, hanno ulteriormente contribuito a fare di questa canzone un episodio sottovalutato nella discografia della band californiana.

Interamente composta da Robby Krieger (musica e testo), questa traccia rappresenta una raffinata evoluzione di “You’re Lost Little Girl”, anch’essa scritta dal chitarrista e pubblicata dai Doors l’anno precedente (settembre 1967) sull’album capolavoro “Strange Days”.

In entrambi i casi, infatti, la strofa si dipana suggestivamente sotto forma di introversa e poetica ballata per poi liberare una energia maggiore, pacata e risoluta allo stesso tempo, nel ritornello.

Tuttavia, con “Yes, The River Knows” la psichedelia in chiaroscuro di “You’re Lost Little Girl” si dissolve in un soft rock sognante, il quale indossa con etera malinconia un arrangiamento in parte acustico.

Quest’ultimo è caratterizzato in maniera preminente dal pianoforte, suonato con grande sensibilità e toccante creatività da Ray Manzarek.

I tasti dello strumento sono trattati con una spiccata espressività, rara nel genere rock, la quale riecheggia gli eleganti, levigati e lirici accenti tipici dello stile Cool Jazz di John Lewis (storico pianista jazz e membro fondatore del Modern Jazz Quartet).

La parte di pianoforte percorre, con un assorto ricamo di note, la fluente attitudine ritmica della strofa, la quale è delicatamente delineata dalle spazzole di John Densmore, usate sulla sua batteria al posto delle usuali bacchette.

Manzarek, inoltre, illumina sapientemente i contorni melodici del brano, esaltandone la carezzevole intensità ed evocando il vivido romanticismo impiegato da Franz Shubert nei suoi lieder per pianoforte e voce di inizio ‘800.

È proprio in questa vena che viene introdotto il ritornello di “Yes, The River Knows”. Il suo svolgimento è sospinto dalla cadenza mesta, marcata e solenne suonata dalla mano sinistra del pianista dei Doors mentre figure ricche di sentimento vengono intessute dalla mano destra.

Va riconosciuto a Manzarek un ruolo decisivo nel pezzo di cui stiamo parlando, un ruolo che va ben oltre il mero accompagnamento armonico per narrare, con la voce leggiadra e allo stesso tempo incisiva del suo piano, le emozioni contenute tanto tra le pieghe delle partiture musicali quanto nel testo.

La struttura ideata da Robby Krieger per questa composizione è piacevolmente lineare: strofa - ritornello - middle eight - strofa – assolo – middle eight – ritornello. Essa riserva comunque alcune pennellate di interessante originalità, come la strofa abbreviata che precede il primo middle eight (ascolto dal min. 0.49 al min. 0.54).

“Yes The River Knows” esibisce un appassionato parallelo sonoro e concettuale tra l’andamento di musica e voce da un lato e il testo dall’altro.

In questo modo, note e parole seguono lo stesso percorso, fondendosi tra loro nel descrivere lo scorrere del fiume citato dal titolo: mite e pensoso attraversando la strofa, cautamente vivace nell’incontrare gli avvallamenti del middle eight, più vigoroso e deciso nel formare la cascata dalle tonalità ombrose del ritornello.

Inoltre, i versi scritti da Krieger mantengono viva per tutto il brano la affascinante immagine che rappresenta il fiume in una duplice veste: come messaggero e come scenografia che accoglie nelle sue magiche profondità lo svolgersi della vicenda.

Inizialmente il protagonista tenta di trattenere l’amata (“The river told me / very softly / want you to hold me”), per poi rassegnarsi amaramente alla perdita dell’amore stesso (“If you don’t need me / I’m going but I need a little time”), fino alla tragica fine scelta per sottrarsi alla sofferenza (“Breath underwater ‘til the end”).

Il dialogo tra i differenti piani che si sovrappongono in “Yes The River Knows” (simboli, emozioni, parole e musica) sono brevemente interrotti da un assolo condiviso tra pianoforte e chitarra elettrica (ascolto dal min. 1.26 al min. 1.50).

Qui, le sei corde di Krieger guizzano morbidamente tra glissando e bending dagli accenti acuti, come barbagli di luce che si riflettono pigramente sulla superfice di un fiume immerso nel sottobosco.

Contemporaneamente, il pianoforte di Manzarek inscena una languida conversazione tra spazio e movimento, la quale si allarga luminosamente fino a riempire gli intervalli lasciati dietro di sé dalla chitarra.

A completare la dolente poesia della traccia è la stupenda vocalità di Jim Morrison.

Nella strofa essa è suadente, benché carica di quello sconsolato abbandono che contraddistingue un cuore irrimediabilmente rifiutato.

Nel middle eight la voce è tristemente consapevole del proprio destino di solitudine, facendo risuonare questo penoso stato d’animo attraverso una sorta di serena costernazione.

Nel ritornello il cantante assume invece la cupa e imperturbabile determinazione che circonda il suicida per amore, tingendola di toni bassi e di una disperazione dissimulata dall’orgoglio dell’amante ferito.

Nel complesso, il timbro di Morrison evita in questa canzone gli eccessi emotivi, addentrandosi nella narrazione con una interpretazione vocale memorabile, ma misurata: il tormento amoroso del protagonista non è urlato, ma filtrato da una ricercata recitazione drammatica.

Il frontman sembra infatti declamare i versi del brano sulle tavole di un palco teatrale, trasfigurando il microfono e lo studio di registrazione grazie alle sue doti innate.

Una particolarità espressiva, questa, che racchiude in sé la nostalgica e commovente magia di questa canzone, impressa ancora più vividamente nell’immaginario dell’ascoltatore dalla eloquente intonazione dei versi da parte di Morrison.

Dal punto di vista della sezione ritmica, non è possibile trascurare gli incalzanti commenti, soffici e dal sapore vagamente jazz, tratteggiati da Densmore alla batteria.

Essi escono dai prevedibili confini di una linea percussiva votata a tenere semplicemente il tempo, prendendo piuttosto le sembianze di contributi attivi al succedersi delle melodie nel brano.

Il basso elettrico del sessionman Doug Lubahn, sempre fantasioso e mai scontato nei suoi interventi, si distingue per gli scuri glissando con i quali dipinge la seconda strofa (ascolto ai min. 1.08 e 1.15) e conferisce ulteriore slancio all’ultimo ritornello (ascolto al min. 2.16).

In fine, va segnalato come la chitarra elettrica di Krieger divenga udibile solamente dopo quarantadue secondi dall’inizio (sui 2.34 totali) per poi, fatto salvo il già ricordato assolo, rimanere sullo sfondo con un arpeggio discreto e lieve.

Nonostante ne fosse l’ideatore, il chitarrista scelse di svolgere un ruolo secondario in “Yes, The River Knows”, consapevole che la splendida forma sonora plasmata dal resto del gruppo non richiedeva ulteriori addizioni.


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