THE DOORS ALL'ISOLA DI WIGHT 1970: MUSICA E CONTESTO


La terza edizione del Festival dell’Isola di Wight fu un evento musicale di portata storica: più di 400.000 persone parteciparono alla cinque giorni di musica (dal 26 al 30 agosto 1970).

Dopo i due appuntamenti precedenti (1968 e ’69), il raduno tenutosi sulla piccola porzione di territorio al largo della costa inglese fu anche il più partecipato nonché quello maggiormente prestigioso dal punto di vista artistico.

Decine di gruppi e cantautori deliziarono il pubblico in un avvincente susseguirsi di diversi generi musicali: blues elettrico anni ’60, rock blues, rock, progressive rock, rock psichedelico, cantautorato, folk-rock e jazz rock.

Dopo l’esperienza di Woodstock (agosto 1969 sulla costa est degli Stati Uniti), i concerti che si alternarono sul palco dell’Isola di Wight aprirono definitivamente la strada ai grandi eventi sonori che caratterizzarono la prima metà degli anni ’70.

Tra le band invitate figuravano anche i Doors, originariamente previsti come spettacolo di apertura della giornata di sabato 29 agosto. Saltata la scaletta ufficiale, il quartetto californiano si esibì all’una di notte, preceduto da Emerson Lake And Palmer e seguito da una meravigliosa ed incendiaria performance degli Who.

I Doors avevano appena terminato il lungo tour americano volto alla promozione dell’LP “Morrison Hotel” (pubblicato nel febbraio ’70) e giungevano in Europa per la seconda volta dopo la visita fatta nel settembre ’68 sull’onda del successo ottenuto con l’album “Waiting For The Sun” ed il singolo “Hello I Love You”.

La sera stessa dell’arrivo dagli USA, il gruppo suonò per circa sessantaquattro minuti, suddivisi tra sette brani dalla qualità audio più che buona, scontando però il clima freddo e ventoso della nottata nonché un forte affaticamento dovuto al jet lag.

Per questa occasione, Jim Morrison, Ray Manzarek, Robby Krieger e John Densmore decisero di ricondurre la lista delle canzoni da eseguire ai live dell’estate-autunno 1967.

Fatta eccezione per due pezzi estratti dal già citato “Morrison Hotel” (“Roadhouse Blues” e “Ship of Fools”), la tracklist prescelta fu composta da: “Back Door Man”, Break On Through (To The Other Side)”, “When The Music’s Over”, “Light my Fire” e “The End”.

Una sequenza di altissimo livello, predisposta appositamente per catturare l’attenzione di coloro che, in Inghilterra, non avevano confidenza con le tracce meno note della band americana.

Per la maggior parte aderenti alle rispettive versioni su disco, le composizioni non raggiunsero le vette alle quali i Doors avevano abituato i loro fan nel corso degli anni, risultando comunque convincenti e, a tratti, decisamente coinvolgenti.

In particolare, fu la voce di Morrison ad essere leggermente meno incisiva ed espressiva di quanto lo fosse abitualmente. Benché sempre in grado di emozionare profondamente l’ascoltatore, essa venne sostenuta da quella di Manzarek in “Break On Through” e in “Light My Fire”, rimanendo complessivamente al di sotto delle potenzialità dimostrate in passato.

La ragione di questo parziale calo di tensione nella determinazione del canto va attribuita in parte alla stanchezza accumulata nel lungo viaggio e in parte alle condizioni di salute non ottimali del frontman, il quale sarebbe deceduto di lì a dieci mesi.

Tuttavia, ciò non compromise la qualità generale del concerto, nel quale, per altro, il cantante decora sporadicamente alcuni brani con colpi ritmati di maracas.

Morrison trova il suo momento di massima ispirazione nella sezione centrale di “The End”, dove improvvisa alcuni poemi musicali: “Away In India”, un fuggevole abbozzo di “Dead Cats Dead Rats” e “Wake Up”, quest’ultimo usualmente posto come introduzione a “Light My Fire” e qui inserito con notevole estro in un contesto diverso.

Da notare con quale prontezza, istinto e maestria gli altri tre membri del gruppo riescano a cogliere e rinforzare immediatamente l’inaspettato e graffiante grido che annuncia il sopraggiungere della poesia “Wake Up”.

Al di là della voce, le sezioni strumentali rappresentano sicuramente il punto nodale del concerto e la sua più vivida attrattiva.

Lo si può riscontrare facilmente, ad esempio, nella dilatata lettura di “Light My Fire” (della durata di circa quindici minuti), dove gli assoli di organo elettrico e chitarra elettrica si distendono entrambi per cinque suggestivi minuti.

In questa celebre canzone i due musicisti offrono nelle loro protratte esplorazioni solistiche un entusiasmante tributo allo stile di Jazz chiamato Hard Bop.

Manzarek, conclude il proprio intervento con note rarefatte che ricercano la direzione di una melodia decostruita e frammentata senza trascurare un dinamico lirismo; Krieger, impreziosisce il suo assolo con una ampia citazione del tema di “My Favourite Things” nella versione di John Coltrane registrata nell’ottobre 1960.

Anche “Ship Of Fools” raddoppia la propria lunghezza sul palcoscenico dell’Isola di Wight, ancora una volta grazie agli assoli del tastierista e del chitarrista.

L’organo elettrico percorre con fluidi e serrati accordi un pregevole assolo superiore al minuto di durata ed assente nella traccia originale dell’LP. Poco dopo, le sei corde di Krieger chiamano nuovamente in causa le influenze date dal Jazz Hard Bop attraverso inattese svolte dalle tonalità prevalentemente acute e tracciando colorite curve sonore capaci di insaporire ulteriormente il rock di questo affascinante brano.

Il giorno successivo, siamo dunque al trenta di agosto, Morrison viene intervistato da una rivista musicale (“Zigzag”), rilasciando alcune interessanti opinioni.

Tra esse vi è la corretta previsione riguardo la crescente rilevanza conquistata dai festival musicali nell’ambito rock: “Penso che questi festival diventeranno sempre più significativi nei prossimi tre-quattro-cinque anni”.

Inoltre, dichiara che i Doors avrebbero voluto fare un tour europeo dopo lo show all’Isola di Wight, toccando Parigi, la Svizzera e l’Italia, e che il prolungarsi del processo di Miami ha purtroppo impedito la realizzazione di questi piani.

Alternando rapiti ricordi della tappa londinese che aprì il tour europeo del 1968 ed elogi elargiti ai Love (la band guidata da Arthur Lee), il cantante si esprime anche sulla rivoluzione culturale giovanile allora in atto negli Stati Uniti e in Inghilterra: “Deve essere costante, non qualcosa che cambia le cose una volta per tutte … deve accadere tutti i giorni”.

Quello del 1970 fu anche l’ultimo episodio del festival che ha reso celebre la piccola isola inglese: esso verrà infatti interrotto per difficoltà economico-organizzative, tornando poi negli anni 2000 con esiti enormemente inferiori dal punto di vista musicale.


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