L'LP "MORRISON HOTEL” DEI DOORS: LE REGISTRAZIONI E LA PRIGIONE
I Doors avevano
appena superato, con non poca fatica, l’anno più difficile per gli equilibri e
l’esistenza stessa della band.
Dall’autunno
1968, vale a dire dal ritorno in California dopo il tour europeo, fino all’estate
1969, infatti, dissapori artistici e personali tra Jim Morrison e il resto
della formazione avevano messo a repentaglio la continuazione della
straordinaria avventura musicale iniziata solamente tre anni prima.
Il clima
maggiormente disteso che circondava il quartetto nell’ottobre-novembre 1969
favorì il ritorno in studio di registrazione come sigillo di buon auspicio alle
avversità recentemente sperimentate.
Alcuni problemi
però persistevano e reclamavano una soluzione urgente.
Il primo di essi
era la mancanza di materiale disponibile sufficiente al completamento del
quinto album del gruppo.
Di pari passo al
progredire del lavoro in studio di registrazione, svoltosi prevalentemente nel
novembre ’69, divenne ben presto chiaro che i brani a disposizione richiedevano
una sostanziosa integrazione al fine di coprire il minutaggio richiesto da un
LP.
Le canzoni
recentemente composte, sommate a quelle sviluppate durante le session stesse,
sarebbero bastate approssimativamente ad un solo lato del disco in via di
preparazione.
A questo insieme appartenevano: “Peace Frog”, “Blue
Sunday”, “Ship Of Fools”, “Land Ho!”, “The Spy” e “Maggie M’Gill”.
Con alcune date
del tour a supporto dell’album già stabilite, la tirannia del tempo e dei ritmi
del mercato discografico si strinse quindi con pressante avidità attorno ai
quattro musicisti.
Inoltre, alcune
composizioni originali già quasi del tutto arrangiate, vennero accantonate a
causa di inspiegabili logiche artistiche o commerciali: in modo particolarmente
deludente vennero escluse “L’America”, “Universal Mind” e “Someday Soon”.
La soluzione
prescelta per riuscire a terminare quello che di lì a breve sarebbe divenuto il
33 giri “Morrison Hotel”, fu dunque quella di attingere al passato.
Il percorso
compiuto a ritroso per scovare pezzi dei Doors ancora inutilizzati si indirizzò
in un primo tempo verso due brani provati nella primavera del medesimo anno in
occasione delle incisioni di “The Soft Parade” (l’album della band che era
stato pubblicato nel luglio 1969, solamente quattro mesi prima delle session di
“Morrison Hotel”).
Tra le tracce estromesse
da “The Soft Parade” furono recuperate “Roadhouse Blues”, la quale era rimasta
allo stadio di demo con la linea vocale cantata temporaneamente dal tastierista
Ray Manzarek, e “Queen of The Highway”.
La caccia a
canzoni utili per riempire i minuti ancora mancanti continuò, addentrandosi
nella primavera 1968 e incontrando “Waiting For The Sun”, composizione che,
come attestato dal titolo, proveniva dalle registrazioni del terzo LP dei
Doors.
Il salto indietro
nel tempo che seguì fu anche l’ultimo ed il più clamoroso: il quartetto e il
loro produttore Paul Rothchild presero in considerazione quanto prodotto
addirittura nel 1966, vale a dire prima che il superlativo esordio del gruppo
su vinile vedesse la luce (“The Doors”, pubblicato nel gennaio 1967).
Da questo periodo,
la prima metà del ’66, vennero tratte due canzoni attribuibili a Jim Morrison:
“You Make Me Real” e la splendida “Indian Summer” (entrambe sottoposte ad
alcune modifiche rispetto alle versioni originarie).
L’esito finale di
questa operazione rivolta a setacciare il recente passato della band trasformò
“Morrison Hotel” in un puzzle di generi musicali (rock-blues, blues, rock e
rock psichedelico).
Inoltre, pur essendo di alta qualità nel suo complesso, l’album è reso ulteriormente eterogeneo dalle diverse annate di provenienza dei pezzi in esso contenuti.
Il mercato
proferirà un giudizio relativamente positivo (quarto negli USA e dodicesimo in
Inghilterra) mentre, dal punto di vista della critica, l’LP si distingue per i numerosi
spunti di grande bellezza e rara originalità (su tutti “Peace Frog”, “Ship Of
Fools” e “Indian Summer”).
In aggiunta alla
scarsità di nuovi brani, nel pieno delle sedute di registrazione di “Morrison
Hotel”, un insidioso e rocambolesco imprevisto coinvolge il cantante Jim
Morrison.
L’11 novembre
1969, approssimativamente a metà dei lavori di incisione del disco, egli decise
di prendere una breve pausa per vedere i Rolling Stones esibirsi in concerto a
Phoenix, in Arizona.
Un programma più
che allettante (chi non sarebbe andato a quel live?!), il quale fu però
scompaginato completamente da un temerario azzardo tradottosi ben presto in un seccante
colpo di scena riguardante la sua vita privata.
Due ore di
viaggio in aereo dividevano Los Angeles, dove vivevano i Doors, da Phoenix, dove
si teneva il concerto. Centoventi minuti che furono fatalmente decisivi.
Ubriacatosi
malamente insieme ad alcuni amici prima dell’imbarco, il frontman disturbò abbondantemente
gli altri passeggeri e il personale durante il volo, guadagnandosi, una volta
atterrato a Phoenix, un arresto per ubriachezza molesta e aggressione. Il tutto
aggravato non poco dalla circostanza di trovarsi su un volo di linea.
Naturalmente ciò
causò anche l’impossibilità di ascoltare il live dei Rolling Stones in uno
degli anni migliori della loro carriera (era lo stesso tour che meno di un mese
dopo li porterà al tragicamente storico Altamont Free Concert in California).
Morrison uscirà
immediatamente di prigione su cauzione (di questo arresto non è stata diffusa
alcuna foto segnaletica), ma il processo che seguirà si trascinerà per mesi,
sommandosi alle problematiche legali che erano per lui già in atto dopo il
concerto di Miami del 1° marzo 1969.
Nella primavera
1970 le accuse più gravi vennero in qualche modo ritirate, lasciando che una
sanzione pecuniaria aggiustasse le cose in maniera tutto sommato positiva.
A quel punto “Morrison Hotel” era stato da poco pubblicato (uscì nel febbraio 1970) e i Doors erano nel pieno del tour americano a supporto dell’album stesso.
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