“YOU MAKE ME REAL” DEI DOORS: NASCITA E PRIMA CONCEZIONE

 

Tra le composizioni partorite dal genio di Jim Morrison nella fase iniziale della storia dei Doors (estate 1965 – estate 1966), “You Make Me Real” è certamente una delle meno psichedeliche e sperimentali.

L’intuizione del cantante si esplicita, in questo caso, sul terreno dell’immediatezza e della urgente direzione da dare al proprio passionale desiderio.

Ciò lascia meno spazio alla creatività rispetto alle altre meravigliose idee concepite in quel periodo (vale a dire quasi tutte le tracce dei primi due splendidi LP della formazione californiana).

Il brano risale ai primi mesi del 1966, quando i piccoli club nei quali si esibiva la band erano l’inconsapevole teatro delle prove generali per la costruzione di un mito ancora oggi ammantato di fulgida luce.

Il pezzo è complessivamente inquadrabile nell’ambito del Rhythm And Blues inglese e americano della prima metà degli anni ’60, collocandosi però, già dalla sua concezione, in leggero ritardo se confrontato a quanto stava avvenendo sulla scena musicale americana e inglese.

Pur non sfigurando affatto in termini qualitativi, questo parziale limite può essere constatato fin dalla prima versione disponibile all’ascolto: quella registrata dal gruppo nel maggio 1966 al locale di Los Angeles chiamato London Fog (link al pezzo).

Qui, il quartetto si lancia con vivace irruenza in una aggressiva corsa che unisce l’incisività di gruppi quali gli Animals e i Them al ruvido impatto sonoro caratteristico del garage rock.

L’invito a ballare rivolto da Morrison allo sparuto pubblico del locale, gridato aspramente al microfono mentre la canzone prende il via, appare più come una rabbiosa minaccia che come una esortazione a partecipare attivamente alla musica.

Questa partenza sfuma in una struttura musicale non banale, capace di sorprendere se valutata attentamente: strofa, anticipazione della parte finale del ritornello (ad esempio dal min. 0.24 al min. 0.28), ritornello, assolo, ripetizione della sequenza appena descritta, ritornello.

L’audio, amatoriale benché soddisfacente per le circostanze fortunose nelle quali è stato catturato, mette in primo piano la caratteristica più notevole di questa incisione live: la batteria di Densmore.

Mantenendo efficacemente un incalzante e coinvolgente incedere rock per buona parte della composizione, il batterista escogita un accompagnamento del tutto particolare nel corso della strofa.

In essa i colpi veloci, costanti e leggeri sul tamburo rullante aumentano di intensità a intervalli regolari, creando così una ricorrente alternanza di volume nel ritmo.

Viene così impresso un originale sigillo sul tipico pattern introduttivo solitamente seguito dalla batteria nel genere surf rock.

Va inoltre segnalata una particolarità riguardante il riff che sostiene la strofa (ad esempio dal min. 0.00 al min. 0.23 o dal min. al min. 0.59 al min. 1.16), guidato dalla chitarra elettrica di Robby Krieger.

Questo breve tema è più rapido, percussivo e bruscamente serrato se paragonato alla modalità maggiormente melodica con la quale verrà sviluppato negli anni seguenti dalla band, confermando così l’approccio strettamente legato al Rhythm And Blues della canzone nei suoi primi mesi di vita.

“You Make Me Real” al London Fog mette in evidenza anche la voce di Jim Morrison, appoggiata nel ritornello da quella di Manzarek.

Il canto del frontman, all’epoca ventiduenne, non è ancora completamente maturo, ma è ugualmente in grado di sprigionare quelle vibrazioni scure e fascinose che ne faranno un caposaldo della storia del rock.

Le urla, graffianti e profonde allo stesso tempo, disseminate con determinata spontaneità lungo la canzone, riprendono alcuni degli espedienti vocali classici nel Rhythm And Blues.

Malgrado ciò, è impressionante notare come Morrison avesse iniziato a cantare, partendo da zero e senza alcuna educazione specifica, solamente dieci mesi prima.

Le parole di “You Make Me Real” rappresentano una passionale dichiarazione incentrata sulla imperiosa necessità del protagonista di essere amato.

Distaccandosi parzialmente dagli stereotipi da sempre presenti nelle canzoni che trattano di rapporti sentimentali, Morrison si definisce in una condizione di infelicità che riconosce come sbagliata per sé stesso, ma dalla quale può uscire soltanto attraverso l’amore di una precisa ragazza.

Il riferimento è qui probabilmente indirizzato a Pamela Courson, conosciuta da Morrison proprio in quella primavera 1966.

Egli invoca così un amore che rende “libero” e fa sentire “reale” il protagonista del testo, esaltandone lo stato d’animo e riflettendosi nel ritmo pressante della canzone.

Questo brano rimarrà nel repertorio live dei Doors per buona parte del 1966, svanendo poi nel 1967 in favore di brani tratti dal materiale registrato nel primo LP ("The Doors", inciso alla fine dell'estate 1966) o ritenuti più adatti al mutare delle circostanze.

“You Make me Real” verrà ripresa dalla band, sia dal vivo che su vinile, a distanza di qualche anno dall’esibizione al London Fog. Di questo parleremo nel prossimo articolo, in uscita fra una settimana.


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