L’EFFETTO “WALL OF SOUND” IN “MY EYES HAVE SEEN YOU” DEI DOORS


My Eyes Have Seen You” non figura tra i brani più conosciuti nel catalogo dei Doors. Questa circostanza è confermata anche dalla scarsità di versioni live che la band di Los Angeles ne ha eseguito nel corso della sua carriera.

L’LP “Strange Days”, pubblicato il 25 settembre 1967 e nel quale si trova “My Eyes Have Seen You”, è caratterizzato da dieci attraenti sfumature di rock psichedelico, corrispondenti alle dieci tracce che lo compongono.

Questa canzone, tuttavia, si distingue per essere meno delle altre intrisa di quegli effetti e di quei suoni che fanno dell’album un capolavoro della psichedelia. Tra le note di questa composizione il rock emerge prepotentemente, sovrastando la componente psichedelica e confinandola sullo sfondo.

In questo modo il brano lascia intravedere la matrice musicale originaria del gruppo, già chiaramente affermata nel precedente lavoro di esordio.

“My Eyes Have Seen You” possiede anche un’altra particolarità poco osservata e conosciuta: il suo ritornello proietta verso l’ascoltatore, attraverso slanci elettrici e distorti, la saturazione sonora tipica degli arrangiamenti resi famosi da Phil Spector con il nome di “Wall of sound” (“Muro di suono”).

Tra la fine degli anni ’50 e l’inizio dei ’60, il produttore americano assembla gli ambienti musicali di alcuni tra i più famosi pezzi di gruppi vocali femminili statunitensi.

Sono singoli di successo, i quali vedevano stagliarsi le voci potenti e melodiose di cantanti come le Crystals o le Ronnettes su strati di strumenti sovrapposti l’uno sull’altro, così da creare un risultato potente e di forte impatto all’ascolto.

L’incontro tra il Rhythm and blues e il Pop che costituisce uno degli elementi principali del genere Soul, fa di queste disimpegnate canzoni piccole gemme da intrattenimento che rimangono ancora oggi presenti nell’immaginario collettivo.

Questi pezzi elaborati da Phil Spector sono sostenuti nel loro sviluppo da molteplici strumenti (in aggiunta alla voce solista e ai cori) che vanno dai fiati agli archi, passando per le chitarre elettriche, il pianoforte, il basso elettrico, la batteria e le percussioni.

La tecnica definita “Wall of sound” può essere facilmente rintracciata, tra i numerosi esempi disponibili, nella hit del 1962 “Do Do Ron Ron” o in “Be My Baby” del 1963, le quali appartengono al repertorio dei due gruppi vocali femminili citati sopra (rispettivamente le Crystals e le Ronnettes).

In questi brani Phil Spector distende svariate superfici musicali fino a formare quel muro sonoro peculiare del suo stile di arrangiatore e in grado di catalizzare l’attenzione dell’ascoltatore fin dal primo secondo.

Questa tecnica, la quale mira ad occupare ogni spazio disponibile con suoni e strumenti, non consente di distinguere agevolmente le parti affidate a ciascun musicista, lasciando che sia l’urto sonoro a prevalere su tutto il resto e contestando persino alla voce solista il ruolo di protagonista.

In “My Eyes Have Seen You” dei Doors, l’effetto “Wall of sound”, sebbene non sembra sia stato cercato consapevolmente dalla band o dal loro produttore, si manifesta nei ritornelli.

Qui si sovrappongono sei diverse fonti sonore. Esse sono: la voce, la batteria, il basso elettrico, due tastiere, la chitarra elettrica (suonata con due tipologie di distorsione).

In particolare, sono il basso (suonato qui da Doug Lubhan) e le due distorsioni della chitarra di Krieger a riempire l’aria di una pervasiva e compatta vibrazione, proprio come un muro scosso dall’irruenza elettrica che lo percorre esuberante.

Questi ultimi tre elementi svolgono il ruolo che nei due casi sopra riportati è affidato da Phil Spector ai fiati (in particolare ai sassofoni baritono e tenore).

L’ultimo dei refrain, il quale porta alla conclusione di “My Eyes Have Seen You”, è anche quello dove meglio è riconoscibile l’effetto “Wall of sound” all’interno di questa composizione (ascolto dal min. 1.24 termine della traccia).

Una analogia ottenuta quasi sicuramente in maniera non voluta, eppure suggestiva nel suo evidenziare come la storia della musica abbia ispirato ciclicamente le generazioni che si avvicendavano per farla progredire sotto nuove eccitanti forme.


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