THE DOORS LIVE A TORONTO NEL 1969: ANALISI DEL BOOTLEG
Nel settembre
1969, i Doors volano verso la costa est del Nordamerica per una serie di
concerti suddivisi tra Canada e Stati Uniti.
Il primo di essi
si tiene a Toronto il 13 settembre in occasione del “Toronto Rock’n’Roll
Revival”: un festival dedicato alla celebrazione di alcuni dei più grandi nomi
del Rock’n’Roll anni ’50.
Sono cinque i
superbi musicisti che in questa sede rappresentano, a distanza di circa
quindici anni, l’anima di una delle svolte decisive per la storia della musica:
Little Richard, Chuck Berry, Bo Diddley, Jerry Lee Lewis e Gene Vincent.
L’evento di
Toronto comprende anche diverse band da poco giunte sulla scena (tra le quali i
Chicago Transit Authority e Alice Cooper) più un gruppo formato da John Lennon
per l’occasione.
Fortunatamente,
la performance dei Doors è interamente disponibile grazie ad un bootleg di
cinquantasei minuti registrato in maniera amatoriale (qui il link).
L’audio è soddisfacente
se si tiene conto delle fortunose condizioni nelle quali è stata effettuata la
registrazione. Tuttavia, va segnalato che la chitarra elettrica risulta lo
strumento maggiormente penalizzato in termini di qualità sonora e che il breve
assolo di Ray Manzarek in “Break On Through” purtroppo non è ben udibile.
Il cantante dei
Doors, Jim Morrison, si presenta al festival con barba e capelli da poco
tagliati, in netto contrasto con l’immagine selvaggia e trascurata data di sé
stesso durante l’estate ’69 appena trascorsa.
L’aspetto esteriore
del frontmen, improntato ad una maggiore compostezza, simboleggiava la volontà
dei Doors di lasciarsi alle spalle due recenti avvenimenti delicati e seccanti.
In primo luogo,
le problematiche legali dovute al concerto di Miami del 1° marzo 1969. In
secondo luogo, la delusione commerciale del controverso LP “The Soft Parade”
(pubblicato due mesi prima).
Proiettandosi
dunque verso il proprio futuro artistico, la band californiana scaglia sul
pubblico di Toronto sei brani sospinti da una elettrizzante veemenza.
Tale approccio
sottrae al concerto una parte dell’imprevedibile estro che spesso troviamo nei
live del quartetto per aggiungervi in cambio immediatezza ed incisività.
In particolare, è
la voce di Morrison a costituire l’elemento più impetuoso e trascinante dell’intero
show, esibendo una graffiante forza d’urto unita ad una intonazione dalla nitida
profondità.
Grida taglienti e
abrasive, sporadiche ma pungenti provocazioni verbali e parti vocali eseguite
con fascinosa intensità, si susseguono sul palco di Toronto, sprigionate ad
opera di un carisma impareggiabile.
Qui, il cantante si
cala con sicurezza all’interno di una congiuntura storico-musicale di enorme
portata, impersonificandone l’essenza con il canto: la liberatoria trasgressione
che pervade il panorama culturale del 1969 incontra la focalizzata energia
richiesta dal Rock.
Dopo le due
emozionanti canzoni di apertura (“When The Music’s Over” e “Break On Through”),
sostanzialmente fedeli alle rispettive versioni originali, sopraggiunge una appassionante
e dilatata resa di “Back Door Man” (cover del blues di Howlin’ Wolf del 1961,
scritto da Willie Dixon e incluso anche nell’esordio su 33 giri dei Doors
intitolato “The Doors”).
La sezione
centrale del pezzo contiene una estesa improvvisazione poetica di Morrison, la
quale, dopo un minuto di sinuoso serpeggiare, rivela due sorprese consecutive.
La prima è costituita da quattro versi tratti dal
middle eight di “Maggie M’Gill”: “Well, I'm an old blues man“ / “And I think
that you understand” / “I’ve been singing the blues” / “Ever since the world
began”.
La composizione dalla
quale Morrison estrapola queste frasi sarà incisa di lì a due mesi (nel
novembre 1969) dai Doors come brano numero undici dell’LP “Morrison Hotel” (poi
pubblicato nel febbraio 1970).
Subito dopo il cantante anticipa ai diecimila
spettatori di Toronto la prima strofa di “Roadhouse Blues” (“Keep your eyes
on the road, your hands upon the wheel” x2 / “Yeah, we're going to the
Roadhouse / Gonna have a real / Good time”). Anch’essa
sarà posta su vinile a distanza di pochi mesi da questo concerto in occasione
delle session di “Morrison Hotel”.
In seguito alla
conclusione di “Back Door Man” è la volta di “The Crystal Ship”, un'altra
canzone appartenente all’album ”The Doors” (pubblicato nel gennaio 1967).
Differendo dalla traccia
ufficiale solamente per l’uso dell’organo elettrico in sostituzione del
pianoforte, essa manca però della incantevole e poetica atmosfera creata dal
gruppo nei primi tempi della propria carriera.
I voluttuosi
meandri sonori evocati dalla versione originale sono infatti soppiantati da una
evidente sfumatura di disillusa sofferenza che possiamo cogliere nella voce di
Morrison.
Malgrado ciò,
“The Crystal Ship” costituisce, in questo caso, un vibrante e toccante punto di
transito tra la prima e la seconda metà del concerto di Toronto.
Quest’ultima è
composta da due lunghi pezzi, entrambi egregiamente suonati, il primo dei quali
è “Light My Fire”. La celebre composizione viene magistralmente introdotta,
come spesso capitava negli show dei Doors, dalla drammatica sezione poetico-teatrale
denominata “Wake Up”.
La seduzione
arcana e il delizioso sconcerto prodotti dai due minuti di questa improvvisazione
d’avanguardia trasportano l’ascoltatore al momento migliore del bootleg:
l’assolo all’organo elettrico di Ray Manzarek nel corso di “Light My Fire”.
Questa ragguardevole
digressione strumentale si estende per ben quattro minuti e dieci secondi, suddividendosi
in quattro distinte sezioni senza mai perdere di interesse o creatività.
Nella prima parte
(della durata di un minuto e mezzo) assistiamo a una scorrevole e luminosa
parata di note, alternativamente allungate e riunite in brevi mulinelli intrisi
di Jazz Hard Bop.
Nella seconda
parte (un minuto e venti secondi), l’acuto suono dell’organo elettrico viene
arditamente concentrato in una entusiasmante e ragionata cacofonia. In essa si
scontrano figure sonore serrate e disorientanti che diffondono una vivida luce
dal profilo tanto sperimentale quanto avvincente.
Nel terzo
segmento dell’assolo (un minuto) Manzarek ricorre a note staccate tra loro,
plasmandone l’andamento vivace ed espressivo in originali e coinvolgenti temi
derivati ancora una volta dal Jazz Hard Bop.
Il percorso
solistico si conclude con una deflagrazione protratta per venti secondi. A
partire da un potente accordo, essa si propaga in una successione di debordanti
e concitati fraseggi, i quali saturano di eccitazione l’aria di Toronto prima
di lasciare spazio al proseguimento di “Light My Fire”.
Da notare
l’accompagnamento ritmico particolarmente dinamico, fantasioso ed efficace fornito
dal batterista John Densmore in tutte e quattro le fasi dell’assolo appena
descritto.
A contrassegnare
il finale del concerto è “The End”, originariamente collocata come
straordinaria traccia di chiusura del già citato album “The Doors”.
All’inizio della
canzone è lo stesso Morrison a coronare lo spirito del festival rendendo pubblicamente
onore ai leggendari artisti Rock’n’Roll presenti all’evento e definendoli “Illustri
geni musicali”. Inoltre, egli racconta sinteticamente come le sue prime
esperienze con il Rock’n’Roll, ascoltato alla radio da adolescente, fossero
state un’esperienza catartica, capace di aprire in lui nuovi orizzonti.
La prestazione di
“The End” a Toronto esclude, contrariamente a quanto avveniva solitamente nei
live dei Doors, invenzioni poetiche o strumentali.
Nonostante ciò, questo
magnifico brano viene eseguito dalla band in maniera più che convincente. A
spiccare in esso è la voce di Morrison: egli non nega al pubblico nessuna delle
intrepide ed ammalianti sfaccettature tipiche del suo stile canoro.
Il bootleg del 13 settembre 1969, meno conosciuto di quanto meriterebbe, sfoggia imperdibili e sfavillanti passaggi musicali e conferma, al di là di ogni dubbio, la solida abilità scenica dei Doors.
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