“SOMEDAY SOON” DEI DOORS: IPOCRISIA, MORTE E MUSICA


La morte è un argomento che, sotto molteplici sembianze e in diversi contesti, più volte emerge all’interno dei testi scritti da Jim Morrison per i Doors.

“Someday Soon” rientra in questa categoria con una incisività diretta ed immediata, la quale viene esplicitamente delineata dal verso tratto dal ritornello: “And I hate to remind you but you're going to die” (in italiano: “E odio ricordartelo, ma morirai”).

Il cantante concepisce questo brano con ogni probabilità nel corso del 1969, contemporaneamente ad altre composizioni che purtroppo rimarranno inutilizzate se non durante alcuni concerti (come, ad esempio, la magnificente “Universal Mind”).

In questo caso, il pezzo verrà suonato, per quanto è dato sapere, solamente nel corso di due performance afferenti il tour dell’LP “Morrison Hotel”: a Pittsburgh il 2 maggio 1970 e a Seattle il 5 giugno ’70.

La versione di Seattle (qui il link), più convincente della prima per la qualità dell’esecuzione complessiva e che consigliamo per l’ascolto, verrà poi inserita nel famoso cd “Essential Rarities” uscito alla fine degli anni ’90.

Nel testo della canzone, immagini criptiche ed impenetrabili si susseguono come nubi cariche di significati minacciosamente accennati.

Tra esse citiamo “Television bleeding like a harvest moon” (in italiano: “La televisione sanguina come la luna della mietitura”). Qui, il termine “televisione” viene usato per la terza volta da Morrison a scopo di critica sociale (le due precedenti citazioni sono contenute in “My Eyes Have Seen You” e “Unknown Soldier”).

In “Someday Soon”, la televisione che brilla di una luce sanguigna come la luna piena usata anticamente per potere mietere di notte rappresenta una metafora di grande impatto: quando la morte verrà a recidere la nostra esistenza, ci troverà davanti alla televisione (o allo smartphone al giorno d'oggi).

L’oblio personale vissuto da chi perde la propria autenticità nel conformismo, evitando l’introspezione interiore e lo svilupparsi del pensiero, viene così brutalmente smascherato e denunciato dal caustico cantante-poeta dei Doors.

Giunti al cospetto dell’ultimo respiro, dunque, l’ipocrisia vissuta nella quotidianità sarà inutile: “And you're going to be needing all of your lies” (in italiano: “E ti serviranno tutte le tue bugie”).

Con l’aiuto del chitarrista della band Robby Krieger, l’originale intuizione poetico-musicale di Morrison viene elaborata fino a brillare di un fosco riverbero, il quale si infrange con tetro sarcasmo su di un ritornello al contempo malinconico e beffardo.

La struttura del pezzo è piuttosto classica: strofa–ritornello–assolo - strofa– ritornello–middle eight – strofa–ritornello–assolo-middle eight – coda.

Una impalcatura musicale che viene egregiamente messa in scena da melodie cupamente fascinose e da interventi strumentali che si pongono quasi sullo stesso piano della voce per l’espressività emanata.

Le parti soliste, affidate alla chitarra elettrica, sono caratterizzate da poche note che vengono allungate piegando verso l'alto le corde sulla tastiera dello strumento tramite la tecnica detta bending.

Ne scaturiscono suoni acuti, prolungati e proiettati in una dimensione eterea, somiglianti all'implacabile bagliore gettato sulla superfice di una fine ineluttabile.

profondi bending dai toni acuti, somiglianti all’implacabile bagliore gettato sulla superfice di una fine ineluttabile.

Batteria e organo elettrico mantengono invece un profilo ritmico, non per questo meno sorprendente per le soluzioni sonore dispiegate con poetica imprevedibilità.

I due strumenti accompagnano voce e chitarra come una processione funebre percorsa dalla lucida follia che solo la consapevolezza di una dipartita imminente può ispirare.

È Densmore in particolare a scovare angolazioni percussive inusuali nelle pieghe del brano, intrecciando l’intensità impressa al piatto crash con i discreti e inaspettati commenti tracciati sul tamburo rullante.

Nonostante una non perfetta definizione audio dovuta alla natura live della registrazione, la voce di Morrison rivela il suo straziante incanto, toccando l’ascoltatore in modo particolarmente efficace durante la meravigliosa coda della composizione.

Ribadendo dolorosamente il titolo della canzone egli simboleggia qui, con lacerante rassegnazione, l’approssimarsi di una morte portatrice di domande scomode e di futili rimpianti.

Un giorno, presto”: queste parole sono declamate quasi disperatamente dal titolo del brano; per Morrison quel giorno arriverà poco più di un anno dopo l’invocazione intonata sul palco di Seattle.

Il suo precipitoso incontro con la morte (avvenuta il 3 luglio 1971) viene così preceduto da “Someday Soon” come una amareggiata e mesta previsione dell’inevitabile che precede di poco il proprio avverarsi.

Per quanto già molto significativo e suggestivo, nella tarda primavera del 1970 il pezzo è evidentemente ancora in via di perfezionamento e non sarà mai registrato in studio.

Che i Doors non lo abbiano mai più terminato e pubblicato ufficialmente costituisce una perdita penosa per la musica rock, parzialmente risarcita dalla avara, ma provvidenziale, moneta dei due live citati in apertura di articolo.


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